Paolo Battistutta: l’istinto, la forma, il tormento umano
Testo dei galleristi Cristian Contini e Fulvio Granocchia
Le opere di Paolo Battistutta si presentano come un corpo a corpo con la pittura, una lotta tesa tra gesto e figura, tra materia e pensiero. Su tele di grandi dimensioni, l’artista plasma figure umane distorte, deformate, sospese in uno spazio che sembra non volerle contenere, ma da cui esse stesse sembrano voler evadere, esplodere, uscire, spingendosi oltre i margini fisici e concettuali dell’immagine.
Se nell’eco di Francis Bacon si avverte la tensione verso una rappresentazione brutale e sincera dell’essere umano, Battistutta elabora un linguaggio proprio, in cui l’istinto diventa pittura e la pittura si fa psiche. Come in Emilio Vedova, è il gesto informale e impulsivo a guidare la costruzione dell’immagine: tracce di colore, colpi di spatola, segni irregolari che diventano contenuto oltre che forma, emozione prima che figura.
Le sue figure nascono da macchie, cerchi, linee semplici e geometrie elementari che si ripetono e si accumulano, in un processo di distruzione e ricostruzione. Non c’è nulla di ordinato o compiuto: tutto è in divenire, e proprio in questa instabilità formale si manifesta la potenza della sua pittura. Il corpo umano non è mai definito, ma suggerito, scomposto e riaggregato in una tensione continua tra presenza e dissoluzione.
In questa poetica del frammento e del movimento, la memoria va al dinamismo di Umberto Boccioni. Là dove il maestro futurista operava con linee spezzate e piani sovrapposti, Battistutta preferisce linee morbide e un uso energico del colore, capace di generare un moto interno alla figura, un’energia che vibra e si propaga nello spazio pittorico, come se la figura non potesse più restare ferma.
Ma ciò che più colpisce è la profondità psicologica di queste presenze umane. I volti e i corpi non cercano la bellezza o la forma idealizzata: sono specchi crudi e necessari della nostra interiorità, ritratti dell’inquietudine, della fragilità, della carne e del pensiero. In ogni deformazione c’è un’introspezione lucida, in ogni segno un tentativo di restituire la verità dell’essere umano, la sua tensione interiore, la sua essenza più nuda.
Paolo Battistutta ci ricorda che l’arte non è consolazione, ma rivelazione. Le sue opere non cercano risposte, ma aprono domande: chi siamo davvero, dietro la nostra forma? E quanta parte di noi siamo disposti a riconoscere, una volta che quella forma si disgrega?